Come possiamo intervenire sulle micotossine?
I nostri consigli per contrastare la diffusione delle micotossine
1. In campo: la produzione di micotossine in campo è nella maggior parte dei casi una forma di risposta della pianta a condizioni di stress. Occorre quindi ridurre le condizioni di stress per le colture, quali la carenza d’acqua, la carenza, l’eccesso o l’errato rapporto tra i nutrienti (come, ad esempio, carenza di azoto o soprattutto fosforo e/o potassio o eccesso di azoto). Questo per quanto riguarda la produzione di micotossine, invece per quanto riguarda la presenza o lo sviluppo delle muffe, occorre impiegare sementi di buona qualità selezionate per fornire piante che siano più resistenti allo sviluppo di muffe, decidendo accuratamente il momento della semina, bisogna inoltre trattare con anticrittogamici nei momenti corretti, e occorre in alcuni casi impiegare anche degli insetticidi, come ad esempio dopo la completa fioritura del mais, allo scopo di diminuire notevolmente lo sviluppo di piralide, che facilita l’attacco da parte delle muffe. Un’altra raccomandazione delle BPA (Buone Pratiche Agricole) è quella di effettuare la rotazione tra le colture, ad esempio alternando la coltivazione dei cereali con altre colture; sia per evitare un impoverimento del terreno, sia per ridurre la carica ambientale di spore appartenenti a specie fungine tipiche dei cereali.
2. Al momento della raccolta: ottimizzare i tempi e le modalità di raccolta e trasporto in allevamento o all’essiccatore-stoccatore, evitando di “trascinare” queste operazioni troppo a lungo, superando il momento ottimale di raccolta, ma piuttosto anticipando eventualmente questo momento in base alle condizioni meteo. Nel caso di granaglie, si ricorda che l’essiccazione dovrebbe avvenire entro le 48 ore dalla raccolta. Una sosta superiore alle 48 ore di una massa umida può generare fermentazioni e sviluppi di muffe o favorire la crescita di colonie fungine qualora già presenti.
3. In azienda o in magazzino: questa parte è fondamentale, in quanto le condizioni di elevata temperatura e umidità possono favorire lo sviluppo di alcune muffe, con produzione di alcuni tipi di micotossine. Infatti, mentre alcune micotossine vengono tipicamente prodotte in campo prima del raccolto, altre vengono prodotte anche o in prevalenza durante lo stoccaggio.
Nel caso di stoccaggio in azienda (es insilato di mais) occorre prendere tutte e precauzione necessarie per evitare fenomeni ossidativi e/o di bagnatura ed inoltre, nel caso degli insilati, il pH va accuratamente monitorato portandolo a quello ottimale nel minor tempo possibile, inoculando eventualmente dei batteri “buoni” e/o aggiungendo acidi organici. Nel caso invece di stoccaggio in un centro raccolta (granaglie) occorre che questo operi nel migliore dei modi, mediante operazioni di vaglio e pulizia ed essicazione delle granaglie, eventuale trattamento delle granaglie, pulizia e trattamento dell’ambiente di stoccaggio, temperatura e umidità controllate, etc., perché questo è un momento fondamentale.
4. Prima dell’impiego: occorre effettuare delle analisi, ma le modalità di campionamento e le tecniche analitiche sono fondamentali. Anche perché alcune micotossine possono essere “mascherate”, cioè possono avere subito delle modifiche, solitamente ad opera delle stesse piante su cui si erano sviluppati i funghi produttori, per cui se non vengono effettuate particolari lavorazioni sui campioni raccolti, queste tossine non vengono svelate in laboratorio. Queste tossine “mascherate”, ad esempio coniugate al glucosio, sarebbero di per sé meno tossiche delle forme “libere”, senonché una volta ingerite dagli animali possono trasformarsi nuovamente nelle molecole originali. Meglio quindi rivolgersi a operatori e laboratori esperti. Nel caso invece di acquisto da fornitori esterni di materie prime, mangime complementare o mangime finito, occorre rivolgersi solo a fornitori in grado di certificare i propri prodotti.
5. Aggiunta di sostanze chelanti: quali le argille e la bentonite, sono uno dei sistemi per contrastare il problema quando non è possibile procedere con un diverso impiego delle materie prime contaminate oppure sul mercato vi è carenza di materie prime non contaminate, ad esempio a seguito di stagioni di maturazione del raccolto piuttosto critiche nei principali Paesi di origine. Esistono però dei limiti delle sostanze chelanti. Uno di questi è la scarsa o nulla efficacia verso alcune categoria di micotossine (in particolare le fumonisine e i tricoteceni, tra cui il DON o vomitossina) la cui struttura molecolare tridimensionale è complessa, per cui non vengono “catturate” tra gli strati piani di una argilla o similare, cosa che invece riesce bene con molecole a struttura piana come le aflatossine. Per questo motivo in questi casi (contaminazioni con micotossine “complesse” o contaminazioni multiple) occorre impiegare in aggiunta alle classiche sostanze chelanti anche enzimi e/o microrganismi inattivanti. Un comportamento intermedio hanno lo zearalenone e l’ocratossina, verso i quali si possono impiegare dei polisaccaridi (es. parete cellulare dei lieviti), dai quali vengono adsorbiti. Altri due problemi dei chelanti, che però possono essere superati prendendo delle precauzioni, sono (1) che alcuni tipi di chelanti, oltre a legare le micotossine possono chelare anche micronutrienti importanti per gli animali e (2) che alcune sostanze, es. argille, possono essere contaminate da sostanze nocive, in particolar modo da metalli pesanti.
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