Peste Suina Africana: i nostri consigli per mantenere il tuo allevamento al sicuro!
Alla fine è arrivata… e per arrivare da noi ha fatto anche un bel salto, oltre 800 km dal focolaio più vicino, situato nella parte orientale della Germania.
La distanza del focolaio piemontese dagli altri focolai di PSA europei potrebbe far supporre un “intervento umano” (la PSA è endemica in Sardegna, ma quello rilevato in Piemonte è un ceppo virale simile a quelli dell’Europa nord-orientale). Quello che è certo è che occorre prestare la massima attenzione per limitare un’ulteriore diffusione del virus nel territorio italiano.
Come si trasmette la PSA?
L’ OIE (World Animal Health Information System) indica le seguenti vie di trasmissione:
- contatto diretto con suini domestici o selvatici infetti
- contatto indiretto, attraverso l’ingestione di materiale contaminato (es. rifiuti alimentari, mangimi o immondizia)
- fomiti contaminati (es. attrezzi, indumenti, aghi e strumenti vari)
- vettori biologici (zecche molli del genere Ornithodoros) in alcune aree geografiche.
Sembrerebbe quindi improbabile la diffusione del virus in allevamento se viene impedito (1) l’ingresso ai cinghiali mediante recinzioni efficaci (cosa non sempre facile, a causa della loro capacità di scavare), e (2) l’ingresso di rifiuti alimentari (pratica peraltro vietata).
Ma… analizzando le caratteristiche del virus e quanto accaduto nei Paesi dell’Europa orientale, possiamo notare come si diffonda purtroppo in altri modi:
Caratteristiche di resistenza del virus
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- Temperatura: la Peste Suina Africana è altamente resistente alle basse temperature e per essere inattivata dal calore è richiesta una temperatura di 60°C per almeno 20 minuti. Cosa vuol dire questo? Che gli alimenti di origine suina crudi o poco cotti possono veicolare il virus per diverso tempo (*):
– Carne refrigerata: almeno 15 settimane
– Carne congelata: anni
– Salumi: da 3 a 6 mesi - pH: il virus è inattivato da pH minore di 3,9 o maggiore di 11,5 in terreno privo di siero. In presenza di siero invece il virus è più resistente, ad esempio a pH 13,4 la resistenza dura fino a 21 ore senza siero e 7 giorni con siero (*)
- Resistenza su materiale non di origine suina:
– Mangime: 30 giorni (***)
- Temperatura: la Peste Suina Africana è altamente resistente alle basse temperature e per essere inattivata dal calore è richiesta una temperatura di 60°C per almeno 20 minuti. Cosa vuol dire questo? Che gli alimenti di origine suina crudi o poco cotti possono veicolare il virus per diverso tempo (*):
(*) Fonte: Bellini S., IZSLER, relazione Bologna, 10.01.2019.
(***) Fonte: Wozniakowski G. W. (2021) Webinar INDICAL BIOSCIENCE “Fighting African Swine Fever I ASF Strategy – Sharing experiences from European outbreaks”
Esperienze dalla Romania (**)
Per quanto riguarda l’insorgenza di PSA nei maiali, un’indagine epidemiologica corredata da un’analisi statistica ha evidenziato, tra gli altri, nuovi fattori di rischio:
- Prossimità con altri allevamenti di suini (a meno di 2 km) e con popolazioni selvatiche di cinghiali e grandezza delle popolazioni di cinghiali
- Frequenza delle visite da parte di veterinari ed altro staff
- Introduzione di foraggio proveniente da aree con presenza di cinghiali infetti.
(**) Fonte: Boklund A. Scientific Reports (2020) 10:10215.
Ecco allora chiarito che non è necessario che i cinghiali entrino in un allevamento di maiali per diffondere il virus della PSA; data la resistenza del virus nell’ambiente, se ad esempio cinghiali infetti, vivi o morti, contaminano le coltivazioni, questo potrebbe essere un rischio, specie per gli allevamenti che preparano il mangime in modo “artigianale”.
Una volta che la malattia passa dalla popolazione dei cinghiali a quella dei maiali, ecco allora che per la diffusione da un allevamento all’altro influisce molto il fattore umano (es. ingresso di veicoli, personale aziendale, veterinari e altro staff senza seguire le procedure di biosicurezza).
Inoltre purtroppo, mentre l’avanzamento dell’infezione nella popolazione di cinghiali è piuttosto lento (in termini di km percorsi in un anno), negli allevamenti di suini si diffonde coprendo rapidamente grandi distanze.
Esperienze dalla Polonia (***)
I principali fattori per la diffusione della PSA in Polonia, a parte una generale sottostima iniziale del rischio, sono stati i seguenti:
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- Movimentazione illegale di suini senza certificazione dell’origine (nelle prime fasi dell’epidemia)
- Movimentazioni di animali di specie diverse (bovini, cavalli) provenienti da zone con presenza di infezione da PSA nei cinghiali, posti successivamente a contatto con suini, in zone in cui l’infezione non era ancora presente (allevamenti rurali)
- Mancanza di recinzioni o appropriate procedure di disinfezione
- Diffusione da parte di persone che prima dell’ingresso in allevamento hanno svolto attività in zone contaminate.
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(***) Fonte: Wozniakowski G. W. (2021) Webinar INDICAL BIOSCIENCE “Fighting African Swine Fever I ASF Strategy – Sharing experiences from European outbreaks”
Impariamo allora dalle esperienze degli altri Paesi e…
- Non sottostimiamo il rischio nella fase iniziale dell’epidemia, quando l’infezione è ancora limitata. Anche se le misure sanitarie indicate dalle Autorità ci possono apparire esagerate in questa fase, vanno seguite scrupolosamente e non solo per dovere civico, ma anche perché l’inosservanza delle regole di biosicurezza trasforma un focolaio potenzialmente estinguibile in un’infezione difficilmente controllabile o addirittura in un’infezione endemica;
- Pensiamo “fuori dagli schemi”: se ci fermiamo all’immagine di un cinghiale infetto che passa sotto la recinzione, entra in allevamento e poi scorrazza in un capannone di suini… allora non stiamo realmente pensando ai rischi! Quando in un’area è presente una popolazione di cinghiali infetti, dobbiamo pensare che sia contaminata tutta la zona, in quanto il virus della PSA sopravvive al di fuori dell’animale molto più di altri virus. Per cui tutto ciò che è presente o transita nell’area contaminata e poi entra in allevamento può portare con sé l’infezione (foraggi, macchine agricole, personale che è andato a lavorare nei campi, cani, ecc.);
- Consideriamo tutti i vettori attivi: finora in Europa, contrariamente all’Africa, il ruolo delle zecche nella diffusione dell’infezione non è stato considerato determinante. Occorre però non tralasciare anche questo rischio potenziale, su cui occorrerà eventualmente agire, in base alle indicazioni fornite dagli esperti.
Consigli pratici
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- La formazione in azienda, ora più che mai: oltre al controllo della popolazione di cinghiali selvatici, all’uso di repellenti e alla messa in sicurezza degli allevamenti suini mediante recinzioni elettrificate, è fondamentale istruire tutte le persone potenzialmente coinvolte nella trasmissione dell’infezione: allevatori, lavoratori agricoli, autotrasportatori, cacciatori, veterinari, etc. Tutte queste figure, oltre a poter incidere sul controllo della malattia, sono importanti per la segnalazione tempestiva di ogni sospetto nuovo focolaio d’infezione nei suini o nei cinghiali.
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- Alimentazione: i suini devono essere nutriti solo con prodotti specificamente approvati. Prodotti o sottoprodotti di origine animale (rifiuti casalinghi, avanzi di mensa) costituiscono un rischio reale di contagio.
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- Contenitori per gli alimenti: i contenitori (silos, vasche, carrelli, bidoni, etc.) vanno puliti regolarmente, impiegando prodotti idonei che non lascino residui tossici e che prevengano la crescita microbica. Lo stesso vale per gli impianti di distribuzione del mangime (secco o broda).
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- Acqua: assicurati che l’acqua per i suini sia microbiologicamente e chimicamente potabile, con valori a norma sia per i contaminanti inorganici che per quelli organici. Per prevenire la crescita di agenti patogeni potrebbe essere necessario utilizzare un disinfettante per l’acqua durante il ciclo produttivo. È comunque sempre buona norma, alla fine del ciclo produttivo, pulire e disinfettare l’intero sistema di distribuzione dell’acqua d’abbeverata, al fine di rimuovere il biofilm e ridurre la carica microbica totale, prima di introdurre nuovi animali.
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- Trasporto:
– La cabina degli autocarri dev’essere mantenuta pulita e regolarmente disinfettata con appositi prodotti efficaci e non dannosi per le superfici interne.
– Le parti di carico dei camion in arrivo, per poter far salire gli animali, devono essere pulite, disinfettate e asciugate.
– I conducenti non dovrebbero scendere dal camion e girare per l’allevamento, o entrare nei capannoni. Se scendono dal mezzo, devono tassativamente disinfettare le mani con un apposito disinfettante, e indossare una tuta pulita e un paio di stivali forniti dall’azienda (anche monouso).
– Per lo scarico dei suini dovrebbero essere utilizzate attrezzature pulite dell’azienda, mentre per il carico dovrebbero essere usate attrezzature fornite dai conducenti. Tutte le attrezzature utilizzate dai conducenti vanno pulite e disinfettate dopo ogni trasporto, contestualmente alla pulizia e disinfezione del mezzo.
- Trasporto:
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- Visitatori: assicurati che tutte le persone che entrano nell’azienda siano registrate all’ingresso. Quando entrano nella “zona filtro”, i visitatori devono lavare e disinfettare le mani e fare la doccia. Prima di entrare nella zona pulita devono indossare abiti e stivali puliti forniti dall’allevamento. Prima di entrare nei capannoni, tutte le persone devono camminare attraverso una vaschetta di disinfezione, che deve contenere la giusta concentrazione di disinfettante, stabile in soluzione e di comprovata efficacia contro il virus della PSA. La soluzione disinfettante deve essere regolarmente sostituita.
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- Ricoveri degli animali: effettua un’accurata pulizia e disinfezione dopo ogni ciclo di produzione per ridurre il più possibile la carica microbica, prima che entrino nuovi animali. Utilizza prodotti con un’efficacia antimicrobica ad ampio spettro, dotati di attività virucida verso il virus della PSA. Come verificare se i prodotti sono idonei? Controlla l’etichetta e la scheda tecnica del prodotto e, nel caso fossero assenti indicazioni specifiche, chiedi di poter visionare un rapporto di prova, comprovante l’efficacia del prodotto sul virus della PSA.
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